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TARANTO...MUSICA...E PETTOLE!!
Postato il: 20-11-2012 @ 08:39 am -- letto 3142 volte


Il 22 novembre si festeggia Santa Cecilia ed è una data molto importante per Taranto, che, in concomitanza con questa ricorrenza religiosa, inaugura il periodo delle festività natalizie. Per Taranto e per i tarantini inizia l'Avvento, in anticipo rispetto a tutti gli altri calendari che lo fanno iniziare dall'Immacolata o da Santa Lucia. Un insieme di suggestioni e legami con tutte le tradizioni, sia religiose che pagane, accomunate dalla costante presenza della musica. All'alba del 22 novembre, i tarantini si svegliano ascoltando il "Complesso Bandistico Città di Taranto" che, ogni anno, dà il "La" alla festa di Santa Cecilia (e al periodo natalizio), perpetuando, così, un'antica tradizione che si dice nasca dall'iniziativa del gruppo bandistico locale che, molti anni fa, decise di uscire all'alba del 22 novembre per onorare la Santa protettrice dei musicisti. La banda percorre le vie della città suonando le famose "pastorali" scritte appositamente da maestri tarantini ispirati dal fascino di tradizioni antiche che trovano le loro radici nelle melodie suonate dai pastori d'Abruzzo, che, durante la transumanza, scendevano nella terra di Puglia con le loro greggi, muniti di zampogne, ciaramelle e cornamuse e suonavano per i vicoli della città, durante la loro questua itinerante, regalando le loro dolci melodie in cambio di cibo. Il cibo che i tarantini donavano ai pastori era un prodotto povero e semplice, ma allo stesso tempo gustoso e nutriente. Erano delle frittelle di pasta di pane, le famose «pettole». Un'antica leggenda narra che: «Il giorno di Santa Cecilia, una donna si alzò, come di consueto, per preparare l'impasto per il pane. Mentre l'impasto lievitava sentì un suono di ciaramelle, si affacciò e vide gli zampognari che arrivavano. Come ipnotizzata da quella melodia, scese per strada e si mise a seguire gli zampognari per i vicoli della città. Quando tornò a casa, si accorse che l'impasto era lievitato troppo e non poteva più essere usato per il pane. Nel frattempo anche i suoi figli si erano svegliati e reclamavano la colazione. Senza lasciarsi prendere dalla disperazione, la donna mise a scaldare dell'olio e cominciò a friggere dei pezzettini di pasta che nell'olio diventavano palline gonfie e dorate che piacquero molto ai suoi figli che, con la loro tipica curiosità, le chiesero: "Mà, come si chiaman'?"- e lei, pensando che somigliavano alla focaccia (in dialetto detta "pitta") rispose: "pettel'" (ossia piccole focacce). Non ancora soddisfatti i figli chiesero: "E 'cce sont?" - e lei vedendo che erano molto soffici rispose: "l' cuscin' du Bambinell" (i guanciali di Gesù Bambino). Quando finì di friggere tutto l'impasto, scese per strada coi suoi bambini, felici e sazi, per offrire le pettole agli zampognari che, con la melodia delle loro pastorali, avevano reso possibile quel miracolo». La realtà, invece, ci dice che le donne, per preparare le pettole, si procuravano "u luat" (piccolo panetto di pasta cresciuta, usata come lievito) e si alzavano verso le due di notte per "trumbà"(impastare) la pasta, operazione che richiedeva tempo e forza di braccia, perché, di solito, le pettole costituivano il pranzo e la cena per sfamare famiglie numerose "cu na morr' di figghije" (con tanti figli). Per questo l'impasto si preparava "int' u limm'" (grande coppa in terracotta smaltata all'interno). Finito di impastare, si lasciava lievitare la pasta coprendo "il limmu" con una "manta di lana (una coperta) in un luogo caldo, di solito vicino al camino o vicino "a fracassè (antica cucina a legna, con caldaia), comunque al riparo da spifferi e correnti d'aria che ne avrebbero rallentato la fase di lievitazione, determinante per la riuscita delle pettole. Di stretta competenza di nonne, mamme e zie, la preparazione delle pettole, rende l'attesa della festa un momento di interessata partecipazione e avvicendamento ai fornelli. Le pettole sono buone al naturale, ma si possono gustare sia in versione salata che dolce. La versione salata prevede la loro farcitura: prima di friggerle, inserendo, nella pallina di pasta, dei pezzi di baccalà fritto, filetti di acciughe salate, cozze crude sgocciolate, pezzetti di parmigiano, pezzi di cavolo lesso, olive, prosciutto e tutto ciò che suggerisce la golosità e la fantasia mangereccia!! Per gustarle dolci, basterà passarle nello zucchero, nel miele o nel vincotto. L'importante è mangiarle caldissime e, possibilmente, davanti ai fornelli e alla pentola sfrigolante, bruciandosi le dita e scottandosi la lingua. La forza di questa tradizione fa sì che, nonostante il delirio consumistico della vita moderna, il perpetuarsi di queste usanze, rende sempre vivo il legame col passato, e le festività più ricche di significato. Da tempi lontani i Tarantini il 22 novembre, si svegliano a notte fonda per preparare «le pettole» da mangiare all'alba ancora bollenti, chiudendo gli occhi e ascoltando le note della banda, per colmare il cuore e rinfrancare lo spirito!! Piccoli gesti ed è già festa.©Bettyboop
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Ultimo aggiornamento il 20-11-2012 @ 08:39 am



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Commenti postati
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Commento di: terrypux
(Postato il 20-11-2012 @ 03:15 pm)

Commento: belle tradizioni che non vanno perdute ,sono le radici che ci legano al nostro mondo ,anche se ormai il mondo si è allargato ,quello piccolo piccolo dell'infanzia resta nel cuore e non va dimenticato ,coi suoi sapori e i suoi colori, viva le pettole !!!

Commento di: canifuendi
(Postato il 20-11-2012 @ 10:08 pm)

Commento: Is currixionis de bentu...
Chiacchiere????????

Commento di: raggiodisole
(Postato il 05-12-2012 @ 08:42 pm)

Commento: ... rispettata la tradizione ;) ....
con una variante: dopo aver fritto le palline di pasta lievitata ed averle aftte rotolare nell zucchero semolato, le ho "spolverate" con della Nutella appena sciolta nel micronde .... una leccornìa!!!!
Raggiobaci a tutti

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