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La Sagra con le curiosità dei cibi poveri

Data Evento:domenica, 24 febbraio 2013Tempo libero
Data Finale:domenica, 24 febbraio 2013
Categoria:Cittadino   Cittadino
Descrizione:


Domenica 24 Febbraio 2013, si svolgerà, a Licenza, la 20ª edizione della Sagra della Polenta "rencocciata". Il piccolo borgo, di antica tradizione contadina, famoso per la pastorizia e la produzione di olio d'oliva, è immerso nel verde del Parco Regionale Naturale dei Monti Lucretili ed il paesaggio circostante è talmente gradevole che fu scelto dal poeta Orazio per riposarsi dalle fatiche cittadine. Si possono, infatti, ammirare i ruderi della sua villa e il monumento a lui dedicato. Nel centro storico è possibile visitare il borgo antico, oltre all'Obelisco "la Croce", il Castello Orsini ed il Museo Archeologico Oraziano. Se si preferiscono percorsi naturalistici, c'è il Giardino dei Cinque Sensi da visitare ed escursioni da effettuare nel Parco Naturale dei Monti Lucretili. Alle ore 12.00 c'è l'apertura degli stand gastronomici con distribuzione delle fette di polenta "rencocciate" condite nei modi più svariati. Nel pomeriggio ci saranno musica, balli e giochi popolari. È interessante, attraverso i racconti degli anziani, ricostruire la preparazione della polenta secondo la ricetta tradizionale perché, da uno studio recente, condotto dall' "Istituto Licenzaro delle Recchie Gialle" (Ha preso questo nome contemporaneamente alla "sagra della polenta rencocciata". Sembra, infatti, che quando fu proposta, gli anziani esclamassero: «Oddio, ma tengo le 'recchie gialle a forza de magnà polenta!!»), la polenta licentina ha notevoli qualità terapeutiche: da qui l'invito a consumarne in abbondanza. Anticamente veniva cotta nel classico paiolo di rame non stagnato, che o si appendeva alla catena del caminetto, o si poneva sopra al treppiedi, attrezzo triangolare in ferro battuto, costituito da tre gambe al di sotto del quale si metteva la brace. Il paiolo veniva riempito d'acqua e, non appena alzava il bollore, vi si versava, poco a poco, la farina di granturco e si iniziava immediatamente a mescolare, sempre nello stesso verso in modo che non si formassero grumi, con lo "squagliarello o sgasciapallotti", un lungo bastone di legno di orniello "coi rappi", che terminava, cioè, con un incrocio di quattro rami, per sciogliere meglio i grumi di farina. Il tempo minimo di cottura era di 45 minuti, ma, come si sa, la polenta più cuoce e più è digeribile e buona. Una volta cotta, veniva versata, con un colpo secco, sulla tipica "spianatora", una tavola rettangolare in legno di ciliegio o di pero, intorno alla quale tutta la famiglia si sedeva per consumare il pasto. A Licenza vi erano due modi diversi di gustare questo piatto: o si preparava la polenta "molla", cioè fluida, che si allargava sulla spianatoia o direttamente nel piatto, oppure si faceva più densa e consistente. Anche in questo caso veniva rovesciata sulla spianatoia formando "u massone" che si faceva raffreddare un po' in modo da renderla ancor più compatta. Per tagliarla, si usava il filo da cucito che si tendeva tra le dita per poi affondarlo nella polenta ottenendo delle fette ben definite e pulite. La polenta così tagliata veniva consumata con diverse pietanze e contorni: sugo con spuntature di maiale o con spezzatino di cinghiale, fagioli, salacche, ricotta e formaggi, cicerchie, ceci, lenticchie e legumi vari, erbe di campo ripassate in padella e broccoletti soffocati, chiamati così perché cotti direttamente in padella, senza esser prima scottati in acqua bollente, con olio, aglio e un po' d'aceto, a fuoco lento e con un coperchio per soffocare e prendere l'aroma dell'aceto. Un'altra curiosità della cucina povera riguarda le salacche che venivano fatte prima essiccare e poi appese ad una trave con un filo lungo che pendeva al centro della tavola e, al momento del pasto, ognuno prendeva la sua fetta di polenta e la sfregava sulla salacca. La polenta era un pasto di tutti i giorni, poco costoso e che dava sazietà, perciò era cucinata in grandi quantità e gli avanzi potevano essere conservati alcuni giorni "rencocciandoli", passandoli, cioè, in una graticola, sul fuoco finché le fette non formavano una crosticina croccante e venivano mangiate, come pane, con le più svariate pietanze.


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