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Ricordi del passato..
Postato il: 08-06-2012 @ 12:07 am -- letto 2108 volte

A seconda delle stagioni le occupazioni erano diverse anche per gli scolari, il lavoro non mancava, al ritorno da scuola capitava di trovare le femmine di casa ,“prughendi su trigu, o sa fa de ghettai” (facendo la cernita del grano, o fave da semina) dalla semente di massa; operata la cernita che consisteva nella pulitura del grano dai semi spezzati, dai semi estranei,e da residui di paglia, si ricavava il grano o la fava, mondati e scelti destinati alla semina.
Naturalmente si era invitati cortesemente a partecipare, essendo un lavoro piuttosto noioso anche se poco pesante, e poi; “poita portas ogus bellus”, (perché hai la vista buona;) dicevano. 




I bambini e anche le donne, partecipavano alla semina delle fave, e delle leguminose da consumo ( ceci,lenticchie, cicerchia e piselli) consisteva nel seguire chi governava il giogo dei buoi che arava, e depositare il seme delle fave nel solco.
Essendo la fava un seme grosso, si depositava nel solco ad uno, ad uno ad una distanza di una trentina di centimetri uno dall’altro, e veniva ricoperto al passaggio successivo.
Per noi bambini non era uno scherzo seguire per tutto il giorno l’aratro, ci si distraeva, per noia e stanchezza o ti sfuggiva più di un seme, la cosa era tollerata per poco, allora venivi richiamato all’ordine, come al solito con modi bruschi.
Talvolta alla semina delle fave partecipavano più di una coppia di buoi, se capitavi tra un giogo e l’altro, e rimanevi indietro, ti ritrovavi tra due fuochi; i richiami del tuo “assistito” e il muso
Dei buoi che seguivano (corna comprese) attaccate al sedere, allora ti dovevi sbrigare, non per un fervore di attaccamento al lavoro, ma per evitare di essere calpestato.
Ricordo nitidamente quelle giornate di fatica, i richiami ai buoi, l’andare avanti e indietro dal primo mattino fino al tardo pomeriggio, salvo una breve sosta per un pasto frugale.
La semina del grano invece era roba per grandi e pure esperti, c’era come una sorta di “sacralità” che riguardava il grano, dovevi avere la massima cura, raccogliere anche un solo chicco che cadesse a terra; “Grazi’è Deus” (Grazia di dio) veniva chiamato; difficile dargli torto visto che da esso si ricava il pane e non solo.
Come detto, la semina del grano era come un rito, la preparazione del terreno era la più accurata possibile e anche se l’aratura veniva fatta dai soliti lavoranti, la semina vera e propria veniva affidata a persone particolarmente capaci, se non era fatta dallo stesso proprietario, nelle aziende con servitù, veniva operata da “s’omini bastanti” il reponsabile dell’azienda che coordinava i lavori, e capo dei lavoranti; persona che veniva assunta per le sue provate capacità. 





la semente veniva posta sulla “sporta” una specie di canestro di giunco a trama molto fitta, con una tracolla di pelle; il seminatore caminava con il passo cadenzato, come danzasse tra le zolle, ogni due o tre passi spandeva il seme con un ampio movimento del braccio, il grano si apriva a ventaglio quando apriva il pugno, e copriva in modo omogeneo l’area interessata.
Per essere sicuro che che la densita fosse uguale, si faceva “un’andada e una torrada” si passava cioè in senso inverso sulla stessa striscia di terreno, la densità ottimale della semina del grano era considerata buona quando almeno cinque chicchi di grano cadevano sull’orma di un bue, e generalmente andava proprio così.
I buoi avevano ognuno il proprio nome, per consuetudine il nome del giogo dei buoi era ,composto di due frasi che avevano attinenza tra loro, poteva essere una metafora che alludeva al vicino con cui non si andava d’accordo, uno sfottò per qualcuno oppure un’ allusione su l’onorabilità di una donna, ma anche una dichiarazione d’amore, più o meno tutti sapevano a chi erano dedicati questi nomi.
Alcuni esempi di quest’usanza: (per le vacche femmine)”bella che tui- Non nci ‘ndar’altra”(bella come te-Non c’è ne altra).
Oppure”Stima s’onori-lassa is bregungias”(Ama l’onore-lascia la vergogna) “Manna ti fais-Non d’oi sesi”(Ti fai grande-ma non lo sei) Altri nomi con significato neutro; “Giardinera-Dilicara” (giardiniera –Delicata).
Per i buoi maschi, il sistema era uguale, ironico, offensivo o neutro.
Alcuni esempi; “Su chi ses fendi-Teniddu a notu”(Di quel che fai-tienine nota) “Su chi possidis-Laga du deppis” (Quel che possiedi-Sai che lo devi) “Cantu ti stimu –Non d’as a crei” (quanto ti stimo-tu non mi credi) “Gravellu-Seperau” (Garofano-Scelto).
Per intere giornate,durante la stagione della semina, nei vari appezzamenti, si rimpallavano questi richiami di pungolo ai buoi, se capitava che ci fosse nelle vicinanze il destinatario di quelle metafore, prendevano toni ancora più alti.

A fine giornata; che poi in questo caso è un eufemismo ( perché la giornata non era affatto finita), si doveva provvedere al governo degli animali da lavoro, somministrargli la razione di fieno o paglia, con l’integrazione di cereali e leguminose; le fave erano l’alimento proteico più diffuso, per chi non era in possesso dell’apposita macina, (rigorosamente azionata a mano) si provvedeva alla frantumazione delle stesse con l’ausilio di ”su mallu po pistai fà” una specie di grosso maglio di legno; generalmente di legno di olivastro, un legno durissimo che aveva infissi sul battente, dei chiodi con la testa tonda “is accjous” tali chiodi si usavano anche sulle scarpe da lavoro con la suola di cuoio. c’era una pietra destinata a questa funzione ci si metteva sopra una manciata di fave e zac un ben assestato colpo di maglio e le fave venivano frantumate.
Questo lavoro poteva andare avanti per ore, in quanto si doveva preparare non solo la quantità necessaria al consumo immediato, ma anche la razione per l’indomani mattina .
Quei lavori accessori a seconda dell’età, potevano farli anche i bambini più grandicelli, preparare la legna per il fuoco, “toccai su molenti”,(badare che l’asino attaccato alla macina per il grano non si fermasse).
Vale la pena soffermarsi su questo compito riservato ai bambini;
l’asino veniva attaccato alla macina per il grano, con gli occhi bendati, in quanto dovendo camminare in circolo a corto raggio;
Dicevano potesse girargli la testa, il nostro compito era farlo camminare in continuazione, e avvertire quando era finito il grano in su “Majou”(nella tramoggia di legno).
La macina sarda per il grano, è una struttura complessa fatta in pietra basaltica scalpellinata, con una parte conica fissa; “su masch’è mò” e la parte femmina cava che si incastra a mò di cappello sul maschio, sulla sommità e ricavato un foro di alimentazione dove si incunea una tramoggia di legno “su majou” contenente il grano da macinare, sulla parte laterale sono ricavati dei fori per l’aggancio della bardatura dell’asinello, questo apparato che è la macina vera e propria, è poggiato su un grande contenitore pure in pietra “su laccu de mò” dove si raccoglie la farina, “su laccu” ha una grossa apertura laterale chiusa da uno sportello di legno a ghigliottina, da dove si asporta la farina una volta finita la macinazione.

Grrr.gif


Ultimo aggiornamento il 08-06-2012 @ 10:38 pm



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Commenti postati
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Commento di: terrypux
(Postato il 09-06-2012 @ 09:24 am)

Commento: Era faticoso vivere allora ,oggi molte volte si dice ,ai miei tempi ,ai miei tempi ,...io ai miei tempi non ci vorrei tornare ,sto bene oggi proprio perchè so come si stava , ai miei tempi,quindi oggi per male che vada va sempre meglio ,c'è solo una cosa che manca ,una volta la vita era uguale per tutti o quasi ,ma oggi c'è troppa differenza troppa gente che butta i soldi come fossero bricciole ,e altri che soppravivono come si faceva una volta ,però veri i tuoi racconti sono fotografie del passato.

Commento di: canifuendi
(Postato il 12-06-2012 @ 12:02 am)

Commento: Si mia cara Terry, Era faticosa la vita allora ma vista la condizione di uguaglianza che c'era, nessuno ci faceva caso, non ho particolari nostalgie di quel tempo, se non per la fanciullezza perduta e perlomeno per noi bambini, bastava poco per farci felici.
Certo se penso ai sacrifici dei nostri genitori paragonati a quelli dei nostri giorni fanno venire i brividi,ma siamo cresciuti con un senso di responsabilità e senso del dovere, che mi viene difficile scorgere nelle nuove generazioni, ma forse la mia visione è distorta; forse sono troppo vecchio ...mah..

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